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Verstappen e il Nurburgring ridanno sale alle corse

30 set 2025
Max Verstappen sul vecchio Nürburgring non ha solo vinto con Chris Lulham una gara Gt della serie NLS al volante di una Ferrari 296 GT3 #31. No, ha corso e correrà anche in futuro contro un sistema globale che non lo vorrebbe lì.
Perché sta combattendo la civiltà delle corse modernissime e finte. Del paddock club. Del racing tutto olive, aragoste & capperi. Del lusso idiota. Delle griglie invertite e delle pistine dei petrolieri. Max sta lanciando un bengala salvifico e rivoluzionario nel cielo del motorsport.
Per cortesia, non guardate i cronometri di quella corsa, ma gustate la foto più grande: la maestosa immagine di un leader il quale spiega al mondo, divertendosi con passione pura, che la sostanza e il senso di tutto allignano altrove. Omaggiando un tempio proibito e meraviglioso del motorsport. Tutto ció politicamente, ideologicamente e sportivamente è sublime.
Nurburgring, l'Inferno Verde che ti cambia dentro
La partecipazione guarda all’attacco alla 24 Ore del Nurburgring, il vero target di Max, in programma nel weekend del 17 maggio 2026. Tutto ciò avverrà a mezzo secolo esatto dal rogo di Niki Lauda al ’Ring, all’altezza di Bergwerk, quando tutto il mondo della F.1, peraltro comprensibilmente, disse: non si può più correre qui.
Ma la Nordschleife è restata nel giro che conta, prima col mondiale prototipi e la F.2, quindi grazie a quel kolossal che è la 24 Ore, ovvero la gara su pista, nata nel 1970, che ammette il maggior numero di vetture al via, scaglionate in gruppi. L’automobilismo moderno ha fatto di tutto per marginalizzarlo, sminuirlo, colpevolizzarlo, demonizzarlo, eppure il Nürburgring lungo a tutt’oggi resta il tracciato più bello e impegnativo del mondo: una ventina di chilometri di inferno verde che salgono a venticinque con l’innesto del nuovo circuito da Gran Premio, inaugurato nel 1984.
E non è solo un fatto di storia e tradizione: se vai sulla Nordschleife e percorri un giro di macchina, anche con una Bianchina, capisci che c’è un prima e un dopo. E dopo quel giro, la tua coscienza di appassionato non sarà mai più la stessa. Perché dirai una cosa molto semplice: fino a qui abbiamo scherzato. Questa è LA pista. Le altre sono diorami. Modellini in scala.
Sulla Nordschleife il battesimo del fuoco l’ho avuto diciassette anni fa, nel weekend della gara di Superleague, serie per monoposto che prevedeva squadre ispirate ai più noti club di calcio. In quel campionato, che faceva tappa nel 2008 sul Nürburgring moderno e sicuro, con piloti quali Pier Guidi e Rigon, mi ritrovai un tardo pomeriggio a tornare in albergo insieme a quest’ultimo, che era alla guida di un pulmino. Non era tardi, così gli dissi: «Hai mai girato sulla Nordschleife?». E lui: «No, mai». «Senti, perché non andiamo? A quest’ora è ancora aperta e, se ci mettiamo in fila, in quattro e quattr’otto ci fanno entrare in pista...». «Dai, proviamo!» - fu la sua replica.
Insomma, un quarto d’ora di coda per entrare e poi via, nell’inferno verde. Guardavo un po’ la pista e un po’ la faccia di Rigon e mi sembrava di sognare. Davanti a noi, il più bel circuito che avrei potuto mai immaginare, capace di darmi le emozioni che fin lì solo il Tourist Trophy dell’Isola di Man mi aveva trasmesso. E a dare spettacolo c’erano anche la guida e la faccia di Rigon. Davide non esagerava, ma iniziava a prenderci gusto, da Schwedenkreutz in su, mai forzando troppo ma neanche andando all’andatura fiacca del pulmino semivuoto. E l’espressione diceva tutto. S’era trasformato in un bambino dagli occhi sfolgoranti davanti alla vetrina delle torte alla panna.
Insomma, fine del primo giro. Butto là: ehi, facciamo che basta? Rigon ha la faccia triste. Capito. Tiro fuori il portafogli, passo alla garitta e offro il secondo giro. Stessa storia. Alla fine, dopo tre giri, la molliamo lì, entusiasti ma pure bronciosi. Perché un posto così dà assuefazione.
Il 'Ring è parte della storia del motorsport
Già, il Mountain dell’Isola di Man e il ’Ring: i due circuiti più antichi, prestigiosi e pericolosi nella storia dell’Uomo. Il primo, in versione lunga, intendo, è nato nel 1911, il secondo nel 1927 e tra due anni festeggerà il centenario. Tempo fa per sfizio ho intervistato Helmut Dahne, mitico centauro forte al TT e recordman della Nordschleife, per avere una comparazione preziosa. Sentitelo: «Il TT ha 256 curve, il ’Ring 176, ed è quasi tre volte più corto, ma non importa. Il Mountain è un problema psicologico, perché se sbagli muori, punto. La Nordschleife è invece il posto al mondo che più esalta la guida pura, l’importanza del flusso, del ritmo. Se sbagli una certa curva al ’Ring, sulle prime non succede nulla, ma sbatti tre curve dopo. Ci vogliono occhi, memoria, fisico e senso della guida. Sincero? A me piace di più il ’Ring». Tra le migliaia di circuiti automobilistici di tutto il mondo, il Nürburgring l’unico e l’ultimo con infiniti graffiti sull’asfalto. Perché da un circuito leggendario derivano fan leggendari.
Centinaia di migliaia di persone ogni anno si riversano al Nürburgring, per assistere a qualche gara o per partecipare a una sessione di guida turistica. E tanti di loro decidono di dover lasciare il segno, fin solo per dimostrare di esserci stati, anche se i graffiti della Nordschleife non sono nati come medaglie d’onore, ma spesso come memoriali, a ricordo di chi ha perso la vita correndo o guidando per diletto. Ecco cosa va a cercare Max. L’altro. Il diverso. L’avventura pura. Coniugata al gusto della guida e della sfida. Soprattutto con se stesso. Tutto questo a 90 anni esatti dal trionfo di Tazio Nuvolari con l’Alfa Romeo contro Mercedes e Auto Union. Passano i secoli e la storia si ripete: il più grande pilota della sua epoca cerca la Nordschleife.
E noi tutti ritroviamo il gusto di un automobilismo verace, spaventoso, commovente, che torna a farci innamorare. Grazie. Danke schön, Max Verstappen, per essere dei nostri.
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