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10 anni senza Jules Bianchi: il sogno Ferrari, l'incidente e un assist al futuro, l'Halo

17 lug 2025
L'anagrafe dice che sono passati 10 anni, anche se la vita se n'era già andata da qualche mese. Perché Jules Bianchi, da ottobre 2014 a luglio 2015, era stato soprattutto una speranza di vita, un coma dal quale tutti speravano potesse riprendersi, ma senza l'illusione di pensare che potesse davvero tornare tutto come prima. E oggi, 10 anni fa, il 17 luglio 2015, quella speranza diventava definitivamente vana.
Sognando Rosso
La notizia fu data dalla famiglia, qualche ora dopo la mezzanotte, quando ufficialmente era già cominciata la giornata del 18 luglio. Era la fine di una corsa, la fine di una rincorsa alla vita che Jules Bianchi non era più riuscito ad abbracciare. L'ultimo addio fu in una giornata di caldo estivo in Costa Azzurra, nella sua Nizza, di fronte a piloti e manager di Formula 1. Quella F1 che lo aspettava al varco della grande occasione, che nel suo caso si chiamava Ferrari: lui, umile ma sempre sognante, nel maledetto weekend di Suzuka aveva detto che si sarebbe fatto trovare pronto a sostituire pure Fernando Alonso, se fosse stato necessario. Intanto, invece, si preparava a salutare la Marussia a fine anno, destinazione Sauber (con un contratto firmato, pensa un po' il destino, proprio a Suzuka), per l'ultimo step prima del grande salto a Maranello. Quel salto, invece, non arrivò mai: ci ha pensato qualche anno dopo il suo giovane amico Charles Leclerc, ma questa è un'altra storia. La sua, di storia, era già finita a Suzuka, domenica 5 ottobre 2014: l'uscita di pista alla Dunlop, l'errore con la pioggia, il botto con la gru, il buio.
L'arrivo dell'"aureola"...
Furono nove mesi in sospeso, dal letto di ospedale giapponese a quello francese, un'interminabile attesa di speranze deluse. Immobile, fermo in un letto, dove il suo sorriso malinconico non compariva più. Chi lo ha conosciuto ne ricorda i modi, gentili, ed i toni, garbati, di un ragazzo che conservava ancora tratti efebici nei suoi 25 anni di speranze e sogni. Uno, in particolare, era di colore Rosso: era la sua casa, sapeva che lo sarebbe diventata, come quando finito un briefing con la Marussia non esitava a spostarsi nel garage del Cavallino Rampante. Il suo destino ricordò a tutti, 20 anni dopo Ratzenberger e Senna, che le corse erano diventate un luogo sicuro, certamente più sicuro rispetto ai decenni precedenti, ma che non saranno mai un luogo del tutto sicuro. Parlare di sacrifici sembra forzato, perfino offensivo nei confronti della vita di un 25enne, ma non c'è errore nel dire che il suo dramma, il dramma di Jules Bianchi, abbia accelerato non poco l'introduzione di quello che noi oggi conosciamo come "Halo". In inglese, è traducibile con la parola "aureola". Se per altri le cose sono andate meglio, forse è anche per quello che accadde a Suzuka 2014. Non si può cambiare il destino, non si può cancellare ciò che è stato, ma si può sempre tentare di fare, domani, le cose meglio di ieri. Era un pensiero che piaceva anche a Jules Bianchi.
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