«Ecco come sventammo il sequestro del secolo»

Il 25 Ottobre 1975 la Banda dei Marsigliesi tentò di rapire Enzo Ferrari. Intervista a Pino Zaccaria, il poliziotto che, assieme a un collega, quella mattina di 50 anni fa bloccò due criminali proprio a un passo dal Drake

 «Ecco come sventammo il sequestro del secolo»

Sandro ErminiSandro Ermini

Pubblicato il 25 ottobre 2025, 07:50

Una poltrona da barbiere nel centro di Modena, due brutti ceffi che attendono all’esterno, la terribile e sanguinaria banda dei marsigliesi pronta ad agire, e un bersaglio d’eccellenza: Enzo Ferrari. È il 25 ottobre 1975, giorno di festa per la Scuderia che celebra il ritorno alla vittoria nel Mondiale di F1. Una mattina molto particolare per il Drake perché nel primo pomeriggio è prevista anche la presentazione della nuova Rossa che affronterà la stagione 1976. Il Grande Vecchio non vede l’ora di arrivare a Maranello. Ma dietro la parata di piloti e giornalisti si nasconde un incubo: un piano criminale per rapire il fondatore del Cavallino Rampante. Fa freddo quella mattina a Modena ma a un certo punto il clima inizia a farsi rovente. 

A cinquant’anni esatti da quel giorno che avrebbe potuto lasciare un segno indelebile nella storia è il commissario Pino Zaccaria a ricostruire attimo per attimo gli attimi infiniti di una vicenda rimasta nascosta per tanto tempo. Fu lui assieme a un collega a sventare il sequestro del secolo. «Quella mattina Enzo Ferrari si trovava nella barberia di Massimo D’Elia in corso Canal Grande a due passi dal Tribunale. Per il Commendatore quello era un rito quotidiano, una piacevole abitudine andare a radersi dal suo barbiere di fiducia, tra l’altro suocero di Franco Gozzi, uno dei collaboratori più stretti del Drake. Ci andava ogni mattina scortato dall’autista Dino Tagliazzucchi e dalla sua guardia del corpo Valdemaro Valentini, ex collega della Polizia di Stato».

Che cosa accadde quel sabato mattina? 

«Quel giorno mi trovavo di pattuglia col maresciallo Natale Ramondino: a piedi eravamo diretti verso la Procura della Repubblica. Arrivati davanti alla barberia ci accorgemmo subito della presenza di un’auto sospetta con quattro uomini a bordo. Due di loro poi scesero e si appostarono sotto al portico fingendo di non conoscersi, ma io rimasi colpito da un particolare. Uno dei due personaggi aveva un tatuaggio nell’incavo della mano sinistra che, per le nostre conoscenze dell’epoca, denotava l’appartenenza a un rango di criminalità superiore. Si trattava, infatti, di un tatuaggio raffigurante le cinque punte della malavita che ai tempi in cui avveniva questo episodio di un “marchio” del genere si potevano fregiare solo i capi dei bracci di penitenziari di massima sicurezza».

Cosa vi spinse a entrare in azione?

«Scattammo subito quando vedemmo che l’auto dalla quale erano scesi i due pochi minuti prima i due soggetti stava tornando in corso Canal Grande. Ci fu chiaro che erano pronti a entrare in azione».

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