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Odio l’ala anteriore delle F.1

È il simbolo negativo e assurdo di una categoria che perde contatto con la realtà

Mario DonniniMario Donnini

7 giu 2016 (Aggiornato alle 10:18)

Se fosse possibile esprimere uno e un solo desiderio per cambiare per sempre qualcosa in F.1 ricorrendo alla bacchetta magica, non avrei dubbi. Abolirei la ridondante ala anteriore delle monoposto e la sostituirei con una struttura molto più piccola, essenziale ed uguale per tutti. Un alettoncino robusto, spartano, anonimo, pret a porter e via andare. Eliminandone del tutto importanza e influsso.

Tutto ciò perché non vedo cosa più negativa, costosa, dannosa e sterile dell’ala anteriore così com’è concepita da anni.  Simbolo filosofico-strutturale di una F.1 che condanna se stessa ad essere fragile, poco spettacolare, costosissima e ormai concettualmente e pericolosamente staccata dalla realtà, oltre che a non poter applicare nella produzione studi e ricerche costosamente in atto a scopo agonistico.

Perché l’immensa ala anteriore delle F.1 di oggi è la prima cosa che si rompe carezzando appena barriere o quando due monoposto si sfiorano. Se non si danneggia fa peggio, perché puntualmente fora gomme altrui, rovinandosi o rovinando gare per un azzardo millimetrico che, in fondo, non è neppure calcolabile dal pilota, annegato e impedito nella vista in abitacoli salvificamente e opportunamente avvolgenti.

La vulnerabilità dell’ala anteriore paradossalmente unita alla sua strutturale e tagliente capacità offensiva sono le due facce del suo peggior difetto: quello di inibire, scoraggiare o sconsigliare azioni offensive da parte dei piloti in corsa e in lotta tra loro, ammosciando la combattività sul nascere. Ma questo è niente.

È pericolosissima, perché grande com’è se si rompe puo finire sotto la monoposto togliendo direzionalità, con conseguenze possibili e passibili di estrema gravità. Di più. L’ala medesima oggi rappresenta una delle variabili aerodinamiche più importanti, una vera chiave di volta, in quanto influenza rendimento e comportamento di tutta la monoposto. 

Gran parte degli studi costosissimi in sede progettuale o in galleria del vento si concentrano sulla conformazione millimetrica di questa o quella bavetta, di un canale aggiuntivo, di una svergolatura in più, in un incessante e faraonico sforzo di sintonia fine su vere e proprie fungaie di microingegneria, che vedono all’opera le più ingegnose menti all’interno di una ricerca del tutto astratta e priva di benefici e ricadute pratiche per l’automobile nel suo complesso. Certo, fatte salve quelle specifiche per una monoposto che così può guadagnare qualche frazione di decimo.

Per farla breve, è come avere all’opera i più grandi parrucchieri del pianeta intestarditi a cercare con costi faraonici nuovi modi per abboccolare creativamente i peli delle ascelle. E dico ascelle per rispetto di chi legge, sennò cambierei termine. Per migliorare le cose e sanarle d’amblé, con un solo tratto di matita, basterebbe mutare strada e sposare la filosofia dell’alettone piccolo e uguale per tutti. Utile ma ininfluente. Sicuro, montabile al prezzo di una merendina e per niente fragile. Un bell’incentivo ai team per spendere di meno, ai tecnici per riflettere più costruttivamente altrove e ai piloti per lottare di più.

Invece no. Manco per niente. Il prossimo anno l’alettone assumerà una sezione triangolare presso il bordo di attacco, con forma a freccia. In poche parole, si seguirà una strada opposta e ancor più esasperata, estendendo l’ala anteriore in proporzione alle gomme più generose, al fine di renderla meno sensibile alla scia di chi precede.

Quindi aumenterà la sua larghezza da 1.650 a 1.800 mm, col solito effetto marcato sul disegno dei profili delle monoposto. In poche parole, la strada scelta sarà esattamente opposta a quella del ragionamento semplice semplice svolto sopra. Proseguiamo pure a farci del male, insomma. Tirandoci martellate nel sottoopancia, con la prospettiva di godere solo se sbaglieremo mira.

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