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Le Mans: amore a prima vista per Fisichella

Le Mans: amore a prima vista per Fisichella

26 lug 2010

Le Mans vedrai, Le Mans è fatta cosi, stai attento a Le Mans. Nel corso della mia carriera ne avevo sempre sentito parlare di Le Mans, spesso non in termini lusinghieri. Dai e dai, alla fine a Le Mans ci ho corso pure io e il mio bilancio - anche per come si è risolto l’incidente - è positivo. Sono soddisfatto della mia prima volta a Le Mans. La difficoltà della pista risiede nella sua lunghezza e in alcune curve di alta velocità, in un contesto che non è certo il massimo per la sicurezza. Per imparare la pista mi sono allenato alla playstation poi ho percorso alcuni giri in bicicletta con Alesi, per capire gli avvallamenti e cosa c’era oltre i cordoli. 
Come da regolamento, da debuttante, il primo giorno ho percorso 10 giri per qualificarmi, regola che vale per tutti, anche per Nigel Mansell. Mi sembrava di avere imparato la pista, i punti di staccata, la sequenza delle traiettorie. Poi con il buio questi riferimenti cambiavano, soprattutto il punto di frenata, perché in alcuni tratti la visibilità deriva solo dai fari delle auto. In termini cronometrici sono contento, in gara il mio giro più veloce è stato di 4 minuti netti. Un decimo in più del tempo ottenuto dal mio compagno Vilander, che su questa vettura ci corre da quattro anni. Otto decimi in più rispetto al giro più veloce della categoria ottenuto da Bruni, che però disponeva di una vettura diversa dalla mia come preparazione. Sapevo che Le Mans era una gara difficile e mi ci sono avvicinato con il rispetto dovuto, arrivandoci senza preclusioni mentali, comportandomi come uno che comincia adesso, perché le problematiche che ho affrontato erano diverse da quelle vissute in tanti anni di F1. Però non ho rimpianti per avere scoperto Le Mans solo adesso, a 37 anni, perché in precedenza ho sempre corso in F1, che era quello che volevo. Mi dispiace che il podio mi sia sfuggito perché il secondo posto era ormai nostro, però considerando la velocità e la dinamica del mio incidente, è già tanto che sia qui a raccontarlo. Diciamo che mi è successa la cosa peggiore nel posto peggiore. Ossia rimanere senza freni posteriori nel punto più veloce, a circa 290 km/h, prima della frenata più impegnativa, quella della curva di Indianapolis. In quel tratto scaliamo una marcia e diamo un grande colpo su i freni.
Quando l’ho fatto, il pedale è andato giù, perché le ruote posteriori non erano più frenate. È stato davvero un brutto momento, vedevo il muro frontale che si avvicinava, cercavo di mantenere la direzionalità con le ruote anteriori, mi sono attaccato al cambio per scalare le marce, che pur con qualche difficoltà, sono entrate. Ero sicuro che sarei andato a sbattere, dovevo scegliere dove. Poi sul lato destro ho visto una stradina di servizio e mi ci sono infilato dentro. Ho sbattuto contro le barriere a circa 140 km/h invece degli oltre 250 se fossi rimasto in pista. Considerando la violenza dell’impatto frontale, i meccanici sono stati bravissimi a rimettere in sesto la vettura, dimostrazione che la struttura frontale ha fatto un ottimo lavoro in termini di assorbimento di energia. Insieme a quello di Monza nel 2000, quando con la Renault rimasi senza freni alla curva Ascari, è stato l’incidente più pericoloso della mia carriera. 



Ora con calma ripenso a tanti momenti vissuti nella notte di Le Mans, alla difficoltà di questa gara. I piloti delle GT2, ad esempio, quasi mai riescono ad affrontare le curve con le traiettorie ottimali, perché sono sempre oggetto di sorpassi da parte dei più veloci Prototipi. Mi aspettavo una gara meno esasperata, meno tirata come tempi sul giro, più simile al concetto di durata, dove pilota deve economizzare componenti come i freni o le gomme. Invece dal sino al traguardo tutti sono andati al massimo, come fosse gara di 30 minuti. Questo forse spiega i tanti ritiri che ci sono stati per problemi meccanici. Ora che il ghiaccio è rotto, a Le Mans spero di correre per tanto tempo. In fondo a 37 anni, sono un ragazzino, considerando che Dindo Capello, che è ancora un vincente, ne ha 45. Però al momento la mia carriera in Endurance la vedo finalizzata nel programma Ferrari, non penso ad altre alternative. Anche se mi arrivassero offerte da altri Costruttori, con Prototipi per la vittoria assoluta, sarei contento di continuare a correre con la Ferrari F430 o con qualunque altro modello del Cavallino.
Consigliato da Vilander Le Mans mi ha conquistato, peccato averla scoperta tardi. Il contatto con il pubblico, la parata davanti a 150.000 persone, sono momenti belli, che anche la F.1 dovrebbe riscoprire per accorciare le distanze che oggi ci sono tra fans e piloti. Quando ho deciso di correre in Endurance, molti mi hanno detto che venendo dalla Formula 1 avrei trovato dei problemi, sarebbe stato sgradevole guidare una vettura regolata da un altro pilota o che non fosse esattamente corrispondente ai miei desideri. Io e Alesi abbiamo deciso di affidarci alla esperienza di Vilander, che in questa categoria è un professore rispetto a noi. Questo ha permesso di razionalizzare i tempi di messa a punto, inoltre Vilander si trova benissimo perché è considerato e rispettato da due piloti che comunque hanno una carriera in F1 molto lunga. Adesso penso alla prossima gara, a Portimao.
Certo quest’anno gli impegni agonistici sono un po’ pochi, mi piacerebbe correre di più, ma di questi tempi così difficili, è già tanto riuscire a gareggiare in una situazione competitiva e professionale come la Ferrari mi ha proposto. Un po’ di corse, un po’ di collaudi in rettilineo a Vairano con la Ferrari F1, un po’ di pr per gli sponsor. Gli impegni comunque non mancano. Il prossimo anno però mi prenoto: ho visto il calendario della nuova Le Mans International Cup. La 12 Ore di Sebring, la 24 Ore di Le Mans e altre gare prestigiose di 1000 km. Farò di tutto per esserci, sempre con una Ferrari.

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