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Vivere per Le Mans

Vivere per Le Mans

12 lug 2010

Ha rischiato più volte di morire sul velocissimo tracciato della 24 Ore, ma ne è uscito vincitore, con un record di partecipazioni, 4 successi e 10 anni col suo team. Ora altri problemi lo affl iggono. Ma resiste, perché il Cuore da Corsa ce l’ha sempre

Dopo 33 partecipazioni come pilota fra il 1966 e il 1999 - un record - e 4 successi, dopo 9 presenze come proprietario e una come ds di squadra fra il 2000 e il 2009, Henri Pescarolo non sarà più al classico posto di combattimento nell’edizione del prossimo giugno della 24 Ore di Le Mans. In pit lane e sulla griglia di partenza non ci saranno né lui, né l’omonima squadra che fi no a due anni fa gli apparteneva e che poi, per disavventure fi nanziarie, è passata di mano in mano ed ora non si sa più neppure che fi ne farà. Anni fa aveva dichiarato che a Le Mans non era legato più di tanto.
«Lo avevo detto perché avevo ancora un forte rammarico per come si era “consumata” la mia carriera in F.1 - spiega oggi Henri -. La mia prima stagione completa era iniziata nel ‘70 con la Matra, ma alla fine di quell’anno questa decise di ingaggiare Amon e di tenersi Beltoise, nonostante avessi disputato una buona stagione conquistando perfino un terzo posto a Montecarlo dietro a Rindt e Brabham. Fu una decisione che presi molto male. La stagione successiva poteva essere infatti quella buona per me, in quanto già in F.3 e F.2 avevo dimostrato che dopo un anno di apprendistato ero in grado di vincere. Invece, da quel momento in poi la mia carriera fu un disastro, perché mi ritrovai a correre con una piccola squadra (la Williams che schierava una March, ndr), da seconda parte dello schieramento di partenza. Per cui, nonostante già corressi anche nell’endurance e avessi uno dei migliori prototipi, dissi che avrei preferito avere la miglior F.1 invece del miglior prototipo. Però poi Le Mans è diventata sicuramente la gara più importante per me».
E, come per tutti gli appassionati dell’endurance e della maratona francese, lui ne è diventato un simbolo.
Per rifarci al titolo della nostra rubrica, non ci ha messo solo il cuore in questa corsa: coscientemente ha continuato negli anni ad affrontarla sapendo di rischiarci anche la vita. Come nel 1968, quando aveva 26 anni, pochi per l’epoca, e disputò anche i suoi due primi Gp di F.1. Già quella volta andò a un passo dal vincerla, e non solo… Era alla terza partecipazione alla 24 Ore, ancora una volta con la Matra; insieme avevano infatti iniziato l’avventura a Le Mans, nel 1966. Di notte, mentre pioveva a dirotto, il suo compagno Servoz-Gavin tornò ai box con i tergicristallo rotti e non riparabili, intenzionato a ritirarsi; per lui era infatti impossibile continuare a correre in quelle condizioni. La squadra chiese allora a Henri se voleva provare a proseguire; e lui, senza farsi pregare, guidò per ore in condizioni terribili. «Non si vedeva nulla - ricorda - e ad ogni giro, passando davanti ai box, dicevo tra me e me. “Ecco, è sicuramente questo il giro buono, quello in cui mi ammazzo”». Invece, all’alba aveva riportato la vettura al secondo posto, per ritirarsi poi alla 22esima ora a causa di una foratura.
Il risvolto più brutto di quello che vuol dire correre a Le Mans lo sperimentò però nell’aprile del 1969, mentre effettuava dei test di preparazione alla sua quarta partecipazione. «Stava per essere il mio turno per il grande salto verso... l’aldilà» disse dopo, ormai scherzandoci su. Aerodinamicamente scarica per essere quanto più possibile scorrevole, mentre era lanciata a tutta velocità sul lunghissimo rettilineo del Hunaudières, la sua 640 letteralmente decollò per riatterrare tra gli alberi, disintegrandosi. «Riportai ustioni ovunque, anche in viso, e l’incrinatura di tre vertebre tanto da rischiare la paralisi» ammette oggi in tutta serenità. Ma non pensò mai di smettere. «Dovevo stare immobile perché non avevano potuto ingessarmi a causa delle ustioni. Invece una notte, in ospedale mi alzai ugualmente per cercare di riprendermi quanto prima nella speranza di riuscire a tornare a Le Mans a giugno. Ma non fu possibile e dovetti rimandare il rientro alle corse al Gp di Germania in agosto. Fu un incidente terribile, perché rimasi cosciente in vettura mentre le fiamme mi avvolgevano e mi ustionavano. Per cui tutti si domandavano, me compreso, se sarei stato in grado di tornare a correre e essere veloce come prima».
Lo fu. Da allora sono passati 41 anni ed Henri nel frattempo a Le Mans ha infilato tre successi consecutivi con la March MS670, dal ‘72 al ‘74, e un quarto con la Porsche 956 nel 1984. Fino al 1999, quando appese il casco al chiodo, ha gareggiato con piloti come Graham Hill (con cui vinse nel 1972), Parkes, Beltoise, Ickx, Tambay, Laffite, Mass e Wollek, solo per citarne alcuni. Oltre alle Matra MS670 e alle Porsche 956 e 962C, ha pilotato versioni varie di Ferrari, Rondeau, Mercedes, Cougar e Courage. Dal 1994 al 1999 ha gestito anche la scuola di pilotaggio Courage-Elf-La Filiere per dare un’opportunità di gareggiare e crescere nell’endurance a promesse francesi che non riuscivano a entrare in F.1, “coltivando” così giovani come Lagorce, Montagny, Collard, Clerico e Belloc, tutti poi dimostratisi validissimi nella categoria sport-prototipi. Poi, nel 2000, ha messo su la sua omonima squadra, vincendo i titoli della Le Mans Series nel 2005 e 2006 - entrambi con Boullion e Collard - e diventando anche Costruttore. Nel 2005 il team andò anche a un passo dal vincere la 24 Ore di Le Mans. «Avevamo la vettura con la nuova aerodinamica (più penalizzante, ndr) e in cambio un’ottima potenza, ma sfortunatamente - dice con ancora tanta desolazione - Ayari ebbe più di un incidente, l’ultimo... risolutivo. Mi infuriai con Soheil, perché non era molto concentrato; era infastidito dal fatto che correva insieme a Loeb e tutti parlavano di Sebastien, mentre lui si sentiva il migliore; così finì per mettere ko la sua vettura. L’altra, invece, accusò un problema al cambio, un inconveniente che mi fece ugualmente una gran rabbia, perché avevamo già avvertito la XTrac che c’era un problema che si era verificato troppo spesso, ma ci fu solo un rimpallarsi di colpe. Per la gara loro dissero quindi che avevano cambiato qualcosa, ma noi accusammo il cedimento del cambio già dopo 2 ore e perdemmo 7 giri, recuperandone 5 sull’Audi durante la notte e arrivando poi secondi a 2 giri, il che vuol dire che avremmo potuto vincere... Un’opportunità che non abbiamo più avuto, perché poi sono cambiate ancora le regole, sono arrivati i prototipi con i motori turbodieseldiesel (prima Audi e poi Peugeot, ndr), troppo potenti grazie a un regolamento a loro favorevole, e non c’è stata più storia».
Ora, invece, dopo aver rischiato la vita per Le Mans, Henri rischia di non avere più neppure un posto alla maratona francese. «Purtroppo il mio team è finito in mani sbagliate, che lo hanno distrutto - chiarisce oggi - Quando sono arrivate le Case con i motori diesel ed è stato evidente che noi piccole squadre private non avremmo potuto più avere alcuna chance di vittoria, e neppure di lottare per il podio, i miei sponsor mi hanno abbandonato e sono entrato in crisi finanziaria. Così due anni fa dovetti cedere il 100% della squadra a Jacques Nicolet, il quale già a dicembre 2008 mi disse che, a causa della crisi economica, intendeva o chiuderla o venderla, e che nel gennaio del 2009 la cedette alla Sora Composites di Jean Py. rilevò per la cifra simbolica di 1 euro promettendo che ne avrebbe ripianato i problemi finanziari e avrebbe investito il necessario per far sì che potesse continuare a impegnarsi al top nell’endurance e a Le Mans. Invece, non vi ha mai investito nulla, tanto che il “buco” finanziario è anche raddoppiato; a inizio anno ne ha fatto quindi cessare l’attività sportiva e mi ha anche messo fuori dalla squadra, tanto che ora non posso neppure mettervi più piede, sebbene abbia un contratto da team manager». Ma uno che ha rischiato più volte la vita a Le Mans non lascia finire tutto così. Aveva detto che all’edizione del prossimo giugno non sarebbe andato, per non soffrire troppo. Però al richiamo del “cuore” non ha saputo resistere.
Così quando per questa gara la televisione satellitare Eurosport gli ha chiesto di fare il commentatore e il quotidiano l’Equipe l’opinionista, Henri non ha potuto dire di no. A Le Mans dunque ci andrà. Ancora questa volta e, promette, anche la prossima, perché è già al lavoro per ricostruire un suo team. Henri, grazie di... cuore!

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