Susie Wolff e la battaglia che ha cambiato la Formula 1

Dalla querela alla FIA alla F1 Academy: come Susie Wolff ha trasformato un attacco personale in una rivoluzione per lo sport
Susie Wolff e la battaglia che ha cambiato la Formula 1
© Profilo Instagram @susie_wolff

Debora FigoliDebora Figoli

Pubblicato il 31 ottobre 2025, 10:43

Nel mondo dorato e ipercompetitivo della Formula 1, dove ogni gesto è calcolato e ogni parola pesa, Susie Wolff ha fatto l’unica cosa davvero rivoluzionaria: ha detto la verità. Senza filtri, senza paura di disturbare. Il suo passaggio al podcast High Performance è un piccolo manifesto su cosa significa combattere da sola contro un sistema costruito per non cambiare.

"Non volevo essere definita come la moglie di Toto Wolff o come la “donna in un paddock di uomini”", racconta. "Volevo solo fare il mio lavoro, ma a un certo punto ho capito che, se non alzavo la voce, nessuno l’avrebbe fatto per me". Da lì è iniziata la battaglia che oggi chiamiamo “il caso FIA”, ma che per lei è stata qualcosa di più profondo: un attacco diretto alla sua credibilità e alla sua dignità professionale.

La sfida alla FIA

Quando la Federazione l’ha messa nel mirino, insinuando un conflitto d’interessi con il marito, Susie ha risposto con fermezza - e con una querela che ha ribaltato la narrativa. "Non volevo vincere per orgoglio, volevo far capire che il modo in cui trattiamo le persone dice tutto di noi come sport". Le parole usate da Susie Wolff sono la sintesi di come una manager, ex pilota e oggi direttrice della F1 Academy, abbia trasformato un attacco personale in una lezione pubblica. E il paddock, volente o nolente, ha dovuto ascoltare.

Il coraggio di cambiare il gioco

Dietro la calma britannica di Susie c’è un messaggio che brucia: non puoi parlare di inclusione se non sei disposto a fare spazio davvero. "Le ragazze non hanno bisogno di essere trattate da principesse. Hanno bisogno di sentirsi parte del gioco. E il gioco, per quanto duro, deve essere giusto". Oggi la F1 Academy è il suo campo di battaglia pacifico. L’obiettivo non è “mettere una donna in F1 a tutti i costi”, ma costruire un percorso realistico e meritocratico. "Voglio che le giovani pilota non arrivino in un paddock pensando di essere un’eccezione, ma una possibilità tra tante. Quando smetteremo di chiamarle “donne al volante, vorrà dire che abbiamo davvero vinto".

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