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L'editoriale del Direttore: Faggioli, il campione della porta accanto

Dalle salite della Pikes Peak al 19° titolo italiano in salita, Simone Faggioli si conferma leader in una specialità unica
L'editoriale del Direttore: Faggioli, il campione della porta accanto

Andrea CordovaniAndrea Cordovani

26 ago 2025 (Aggiornato alle 09:44)

Ago e filo, prego. Simone Faggioli si cuce sulla tuta il diciannovesimo scudetto delle salite. L’uomo delle imprese impossibili, il primo italiano a mettere tutti alle sue spalle sulle leggendarie rampe della Pikes Peak, mette in bacheca un altro titolo. Certi suoi trionfi ormai sono come le suppellettili sulla madia di casa. Sono lì e quasi nessuno ci fa più caso. E invece di scontato non c’è proprio niente.

Chi corre in salita sa che ogni errore più essere fatale, scalando le montagne tra paurosi strapiombi e curve cieche, tenendo il piede destro premuto sul pedale dell’acceleratore. Sono corridori alla vecchia maniera, razze in via d’estinzione, uomini che gettano la loro passione sulle pieghe ardite di una specialità che è rimasta quella di una volta, l’ultima riserva per tutti quelli che ancora intendono le corse nella loro vera, unica, essenza. Guai a pensare che si tratti solo di uno sport minore, di una piccola nicchia popolata da folkloristici smanettoni. Qui si corre sempre sul filo e a medie orarie pazzesche. Servono coraggio, memoria, sangue freddo e una gigantesca perizia col volante tra le mani. Diceva il leggendario “scalatore” Mauro Nesti parlando delle corse in salita: «Questo non è correre in macchina, questo è volare basso».

Faggioli ancora in vetta

Simone Faggioli è il campione della porta accanto. Quello che se ti soffermi solo a guardarlo non gli daresti un centesimo. I suoi sorrisi nascondono una timidezza latente, ma quando si infila casco, guanti e tuta, diventa un satanasso capace di riscrivere completamente la storia delle corse in salita. Lui è clamorosa sostanza che rifugge l’apparenza. Appena vinta la gara inseguita da una vita, poche ore dopo essere tornato dal Colorado con in valigia la coppa che l’ha consacrato re della più importante cronoscalata del pianeta, il quarantasettenne di Bagno a Ripoli ha festeggiato a modo suo: è andato subito in officina. Stava con la mente alla gara successiva e non c’era tempo per pensare a quell’impresa che rimarrà nella storia. Mani nel motore e tuta sporca di grasso. Il massimo del godimento per uno come lui cresciuto tra salite spesso impossibili, record da infrangere e titoli da collezionare.

Che la sua carriera sarebbe stata un meraviglioso bagno di gloria l’aveva detto tanti anni fa proprio Mauro Nesti, il pilota che ha ispirato Simone: «Gliel’ho detto tante volte: un talento come te è sprecato in queste corse. È troppo forte e non avrà problemi a conquistare valanghe di titoli». Ci aveva visto alla grande la leggenda di Bardalone. Ora che sull’asfalto imbrattato di Gubbio rimane impressa un’altra impresa firmata da Faggioli ci sono solo applausi e una grande lezione per tutti quelli che pensano ancora che le corse non siano anche una grande poesia che sgomma davanti a un progresso spesso farlocco, vero fuoco fatuo per la passione.

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