Patrese e i suoi favolosi anni 70

Patrese e i suoi favolosi anni 70

Un compleanno che ricorda il senso di una grande carriera

22.04.2024 ( Aggiornata il 22.04.2024 11:59 )

Dai favolosi Anni ’70 a favolosi settant’anni il passo può sembrare breve, per boomer e generazione X, solo a pensare a Riccardo Patrese. Iridato in kart, subito campione europeo di F.3 1976, front runner in F.2, sempre su Chevron, e nel bel mezzo della stagione cadetta 1977 arriva il clamoroso debutto in F.1 con la Shadow, grazie ai buoni uffici del finanziere Franco Ambrosio. Subito qualificato a Montecarlo, cosa stupefacente per un 23enne senza test seri, e ben presto a punti quando prenderne uno voleva dire arrivare sesto. Che se capita al giorno d’oggi ti fanno un monumento equestre.  In una parola, se c’è un aggettivo onesto per definirlo nei primi anni di corse, be’, quello è sensazionale. Ma a Patrese Riccardo da Padova classe 1954 il monumento non l’ha mai fatto nessuno. Anzi, porchetta l’ochetta, tra sfortuna, carognate, indifferenza un po’ bastarda, bullismo motorizzato, giustizialismo settario e un pizzico d’invidia, tempo qualche mese e a fine 1978 il suo vissuto sanguina e già chiede giustizia.

Riassumiamo. Dalla Shadow nasce la Arrows e la Fa1, presentata sotto la neve, va in Brasile, fa bella figura in livrea Varig e poi nei colori Warsteiner, sponsor portato da Stommelen, s’imbarca per Kyalami, Sudafrica. Lì Riccardo disputa la gara più bella della sua vita, perché dalla top ten si mette a infilare tutti i più grandi della F.1 Anni ’70, andando in testa, tra lo sgomento del pubblico. Nessuno può fermarlo. Anzi, sì: solo il motore che va in fumo, insieme alle sue speranze.

Ma Patrese non è solo bravo e veloce: ha cuore, anima e spina dorsale. Ad Anderstorp, a casa di Peterson, lotta e resiste combattendo con l’idolo locale, il mitografico Ronnie con la stratosferica Lotus 79, uno duro e veloce in pista come il dio del motore. È troppo. Comincia ad andare un po’ sui coglioni a certi soloni del Circus e gli si preparano guai.

Alla mala Monza 1978, al via, s’innesca il crash multiplo che ferisce proprio Ronnie, il quale morirà poche ore dopo al Niguarda, per malasanità.

Riccardo, che non c’entra niente, per certi senatori della F.1 è il colpevole perfetto e l’imputato prodigio. Lo costringono a una mitragliata di processi che neanche Hannibal, ma da puro innocente, neh, fino a che Marcello Sabbatini prende posizione su Autosprint, pubblicando le sgommate sull’asfalto delle frenate in traiettoria della mala Monza che incolpano Hunt, peraltro uno degli accusatori più tenaci, e scagionano il padovano.

Intanto al Glen un tribunale privato scandalosamente autoconvocato da veterani della F.1 lo esclude dal Gp Usa come punizione fai da te. Una vergogna. (In)giustizia privata. Cose mai viste prima, in tutta la storia dello sport. E per vederlo fuori dalle maglie della giustizia ordinaria (penale, eh) ce ne vorrà di tempo. Intanto la Ferrari lo corteggia, anzi, lo vuole, ehm, lo vorrebbe, oddio, non proprio, ci ripensa e alla fine lo lascia con la bocca amara, non prendendolo mai più.

Una mitragliata di mesi e quel ragazzo favolosamente veloce è un uomo già inquisito, deluso, mobbizzato, illuso e attonito, oltre che ben poco difeso.

Pensa te, dicono pure abbia un brutto carattere. Dopo tutto quello che ha subito e sopportato, sarebbe sbottato di brutto pure il biblico Giobbe, altro che Patrese. Ma non importa. Da lì in poi Riccardo mostra immensa dignità, capacità di soffrire e voglia d’andare avanti, procedendo come eroe quasi invisibile. Se la Arrows non è in grado di vincere un Gp, no problem, lui la piazza in pole, come a Long Beach 1981. E finalmente, quando Bernie lo chiama, lui risponde. In Brabham, con una macchina e uno stipendio decente, Ric sbanca Montecarlo 1982, in una gara dai mille volti, non senza un briciolo di culo, perché lo rimettono in strada dopo un testacoda alla Vecchia Stazione in un Gp che potrebbero vincere tanti, nel finale, senza che nessuno sembri riuscirci. Dopo il traguardo gli dicono che il trionfatore è lui e lì per lì manco ci crede, poi sorridendo sbigottito va da Grace e Ranieri per vivere il momento più bello della sua vita.

Da lì impareranno a stimarlo tutti. Specie gli anglosassoni. È capitano della Lancia Beta Montecarlo iridata by Fiorio, lui stesso poi, con la LC1, va vicino all’iride battuto in extremis solo da Ickx e dalla Porsche, quindi a Imola, nel Gp di San Marino 1983, un’altra umiliazione orrenda, quando esce alle Acque Minerali mentre lotta con la Ferrari di Tambay per aggiudicarsi il Gp di San Marino.

A lui, italiano come Mazzini e Garibaldi, mezza tribuna rivolge il gesto dell’ombrello, reo d’aver impensierito una Ferrari. Che robe nauseanti. Fa finta di niente e tira dritto. Come sempre. Come e quando può. In Brabham è la cavia tecnica degli esperimenti di Piquet, ma pazienza.

Quindi, alla fine del ciclo Brabham, va alla Williams, dove nel 1992 è viceiridato dietro al compagno Mansell.

Un giorno, pranzo con Gordon Murray che mi confessa quanto Riccardo Patrese sia un vero signore. Poi un pomeriggio incontro a Goodwood Ann Bradshaw, storica pr della Williams, la quale mi dice che Mansell in Williams era quello meno sopportabile, invece Riccardo è dolcissimo, mai lamentoso e considerabile come il vero beniamino della squadra. Capito?

Infine, l’ultima stranezza in pista. Lo prende la Benetton e Briatore nel 1993 lo confronta con Schumi l’ultima volta in cui alcuni non hanno ancora capito che Michael è un fenomeno. Ric è invece il veterano del mondiale, con 17 stagioni filate, come Graham Hill. Flavio lo mette sotto pressione, gli cava la voglia che gli è rimasta di correre, di fatto incolpandolo di non andare quanto Schumi, cosa di cui in realtà sarebbero colpevoli tutti i piloti del creato, in quel momento e da lì in poi, per più di dici anni.

Riccardo reagisce come sempre con carattere, ma a quasi 40 anni questo vuol dire smettere con la F.1, per sempre. Dicendo di no anche all’offerta di prendere il posto di Ayrton, appena deceduto. Pochi anni dopo la Williams lo richiama per un test privato e da post quarantenne in disarmo piazza un crono che l’avrebbe messo in seconda fila in un Gp vero, anche se lui ormai ha le tempie bianche. Un aggettivo? Sensazionale. Ancora. Vent’anni dopo.

Adesso è tornato a crederci a fondo, nelle corse, reinnamorandosi con gli occhi del figlio Lorenzo. Baby bravo, veloce, promettentissimo, coscenzioso e lanciato verso una bella carriera da professionista delle ruote coperte. Così fa piacere vedere che c’è sempre un Patrese in pista. E, non di meno, prendere atto che l’altro, quello primigenio, di Patrese, adesso ha la stessa età di quegli Anni 70 che ce lo rivelarono, come un regalo speciale.

Otto volte hai tagliato il traguardo in F.1 andando più veloce di tutti, ma sempre, in ogni giorno dei tuoi 256 Gp disputati, a lungo un record di fedeltà, hai dato un’immensa lezione di vita e di carattere a chi voleva affossarti, a chi non t’ha dato abbastanza fiducia, a chi, quando contava, non ha saputo credere in te. Per questo, guardando complessivamente la storia della tua carriera e della tua vita, viene tanto da dire che quanto a onore non sei mica vicecampione di niente, ma campione e basta. Campione, punto.

Campionissimo di una carriera intensa, travagliata non per colpa tua e bella, bellissima, calda, voluta e mai regalata. Perché strappata combattendo come uno che, oltre a saper correre, ha dimostrato soprattutto d’essere stupendamente capace di vivere. Per tutto questo, gustati i tuoi settanta tanto quanto li hai fatti gustare a noi, quei Settanta d’allora, Champ.


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